Design Thinking

Co-design: definizione, principi chiave e come applicarlo

15 Ottobre 2025

5 min lettura

Quante grandi idee, brillanti sulla carta, sono fallite non per un difetto tecnologico ma perché, semplicemente, nessuno le voleva davvero? Questa domanda, più comune di quanto si pensi, nasconde la debolezza di un approccio progettuale tradizionale. Il co-design nasce proprio per colmare questa distanza. È un approccio alla creazione che smantella la barriera tra chi […]

Denis Simeon

Quante grandi idee, brillanti sulla carta, sono fallite non per un difetto tecnologico ma perché, semplicemente, nessuno le voleva davvero?

Questa domanda, più comune di quanto si pensi, nasconde la debolezza di un approccio progettuale tradizionale. Il co-design nasce proprio per colmare questa distanza.

È un approccio alla creazione che smantella la barriera tra chi progetta e chi usa, coinvolgendo attivamente tutti gli attori, utenti finali inclusi, nel processo creativo.

Non è solo una metodologia, è una filosofia che sta trasformando il modo in cui nascono prodotti, servizi e politiche, rendendoli più efficaci, innovativi e profondamente umani.

Cos’è il Co-design?

Il co-design non è una semplice indagine di mercato o un focus group da cui estrarre opinioni.

È un cambio di paradigma radicale: gli utenti non sono più soggetti passivi da studiare, ma diventano partner attivi nel processo di progettazione.

Significa sedersi allo stesso tavolo, con gli stessi strumenti, per creare insieme. Questo approccio si fonda su alcuni principi irrinunciabili. Il primo è l’equità, un principio secondo cui ogni voce, dal CEO all’utente finale, ha lo stesso peso e la stessa dignità.

Segue la collaborazione, che spinge a lavorare insieme superando i silos aziendali e disciplinari per unire competenze diverse. Infine, l’iterazione guida un processo ciclico, fatto di tentativi, feedback e continui miglioramenti, accettando che la prima soluzione non è quasi mai quella definitiva.

È cruciale, a questo punto, fare chiarezza. Spesso si confondono termini simili, ma le differenze sono sostanziali.

Lo User-Centered Design progetta per gli utenti, mettendoli al centro dell’attenzione ma mantenendo una separazione tra designer e utente. Il Design Thinking si mette nei panni degli utenti, usando l’empatia come motore per comprendere i loro bisogni.

Il Co-design fa un passo determinante oltre: progetta con gli utenti, rendendoli co-autori della soluzione finale. La differenza sta tutta in quella preposizione, che segna il passaggio da un processo consultivo a uno genuinamente partecipativo.

I vantaggi concreti del co-design

Adottare una mentalità co-creativa non è solo una scelta etica, ma una mossa strategica che porta benefici tangibili.

L’aumento dell’innovazione è uno dei risultati più evidenti. Quando prospettive diverse si incontrano, quella del tecnico, del manager e della persona che userà la soluzione ogni giorno, nascono idee più originali e capaci di rompere gli schemi.

Di conseguenza, si ottiene un drastico miglioramento dell’usabilità e della User Experience. Le soluzioni vengono modellate sui bisogni reali e sui contesti d’uso effettivi, non su ipotesi astratte, risultando più intuitive ed efficaci.

Un altro vantaggio chiave è la maggiore adozione del prodotto o servizio finale. Chi partecipa attivamente alla creazione di una soluzione sviluppa un senso di appartenenza (ownership) e diventa il suo primo e più convinto promotore.

Questo approccio permette anche una significativa riduzione dei rischi e dei costi. Identificare i problemi e le incomprensioni nelle primissime fasi del processo evita costosi errori di sviluppo e rilavorazioni tardive.

Infine, il co-design genera un forte empowerment di utenti e comunità, perché le persone non solo si sentono ascoltate, ma acquisiscono anche nuove competenze e fiducia, rafforzando il legame con l’organizzazione e il tessuto sociale.

Il processo di co-design: guida pratica in 5 fasi

Sebbene sia un approccio flessibile e adattabile, il co-design non è improvvisazione. Segue un percorso strutturato che guida i team dalla comprensione del problema fino all’implementazione di una soluzione condivisa. Vediamo insieme le sue cinque fasi principali.

Fase 1: Preparazione e definizione del contesto

Questa fase getta le fondamenta per tutto il lavoro successivo. È il momento in cui si devono identificare e mappare tutti gli stakeholder rilevanti, assicurandosi che nessuna voce importante venga esclusa. Insieme a loro, si lavora per definire chiaramente il problema da affrontare e per stabilire obiettivi comuni e condivisi da tutti.

Un compito essenziale del facilitatore, in questa fase, è creare un ambiente di lavoro sicuro e inclusivo, uno spazio protetto dove ogni partecipante si senta a proprio agio nell’esprimere idee e critiche senza timore di essere giudicato.

Fase 2: Esplorazione e ricerca collaborativa

Ora il team si immerge completamente nel contesto del problema. Non si tratta di una ricerca condotta da esperti e poi presentata agli altri, ma di una ricerca partecipativa.

Si utilizzano metodi come interviste, osservazioni sul campo e workshop di mappatura (per esempio, la creazione di Customer Journey Map) condotti insieme agli utenti.

L’obiettivo è raccogliere insight autentici e profondi, analizzando collettivamente i dati che emergono per costruire una comprensione condivisa e sfaccettata della realtà.

Fase 3: Ideazione e co-creazione

Armati di una profonda comprensione del contesto, si entra nella fase più puramente creativa. È qui che si scatena il potenziale collettivo per generare soluzioni.

Attraverso sessioni di brainstorming strutturato e workshop di co-creazione, i partecipanti sono incoraggiati a esplorare un’ampia gamma di possibilità, favorendo il pensiero divergente.

Le idee non vengono solo elencate, ma discusse, combinate e sviluppate in concept più solidi e scenari futuri, sempre in modo collaborativo.

Fase 4: Prototipazione e test iterativi

Le idee astratte devono diventare qualcosa di tangibile per poter essere valutate. In questa fase, si creano prototipi a bassa e alta fedeltà, che possono spaziare da semplici schizzi su carta a modelli digitali interattivi. Questi prototipi non vengono testati sugli utenti, ma con gli utenti.

Lo scopo è raccogliere feedback immediato, onesto e costruttivo, che viene poi utilizzato per migliorare il design in cicli rapidi di prova e perfezionamento, assicurando che la soluzione evolva nella giusta direzione.

Fase 5: Implementazione e valutazione continua

L’ultima fase porta la soluzione nel mondo reale. Si pianifica l’implementazione tenendo conto delle risorse e dei vincoli emersi durante il processo.

Tuttavia, il lavoro non finisce con il lancio. Un aspetto fondamentale del co-design è il monitoraggio dell’impatto della soluzione per misurarne il successo rispetto agli obiettivi iniziali.

Questo prevede un ciclo di miglioramento continuo, alimentato dai dati raccolti e dal feedback degli utenti post-utilizzo, per garantire che il prodotto o servizio resti rilevante ed efficace nel tempo.

Strumenti e metodologie essenziali per il co-design

Per mettere in pratica queste fasi, i team di co-design si avvalgono di una ricca cassetta degli attrezzi. I workshop collaborativi sono il formato principale, veri e propri laboratori dove persone diverse lavorano insieme usando tecniche di facilitazione visuale.

La prototipazione partecipata è una metodologia chiave per rendere le idee concrete e testabili da tutti, mentre il journey mapping condiviso aiuta a visualizzare e a comprendere le esperienze delle persone in modo empatico e collettivo.

Oggi, la tecnologia offre un grande supporto: lavagne collaborative online come Miro e FigJam permettono di lavorare insieme anche a distanza, mentre software di prototipazione come Figma facilitano la creazione e la condivisione di modelli interattivi.

Chi partecipa al co-design: attori e ruoli chiave

Un processo di co-design di successo dipende dalla giusta combinazione di persone e ruoli.

I Designer e Facilitatori non sono i creatori solitari, ma gli orchestratori del processo. Il loro compito è guidare la collaborazione, garantire che tutte le voci siano ascoltate e fornire al gruppo gli strumenti metodologici corretti per procedere.

Gli Utenti finali e le community sono i veri protagonisti, gli esperti insostituibili della loro esperienza vissuta; la loro conoscenza è la risorsa più preziosa.

Gli Stakeholder (provenienti da aziende o istituzioni) portano la visione strategica, la conoscenza dei vincoli di business e le risorse necessarie per realizzare il progetto.

Infine, esperti di settore e ricercatori possono essere coinvolti per fornire conoscenze tecniche o accademiche specifiche, arricchendo ulteriormente il processo con dati e competenze specialistiche.

Perché integrare il co-design nella tua strategia

Alla fine, il co-design non è soltanto una metodologia da applicare o una serie di workshop da organizzare.

È un profondo cambiamento di mentalità, una scelta culturale che sposta il focus dal progettare per le persone al progettare con le persone.

Richiede umiltà, apertura e la volontà di cedere una parte del controllo per ottenere in cambio soluzioni più resilienti, innovative e, soprattutto, realmente desiderate.

Integrare questo approccio significa smettere di tirare a indovinare e iniziare a costruire futuri condivisi, creando valore che non sia solo funzionale o economico, ma profondamente umano.

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Denis Simeon

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