Psicologia

Behavioral Design: cos’è, come funziona e modelli pratici

10 Ottobre 2025

6 min lettura

Behavioral Design: cos’è, come funziona e modelli pratici Perché scarichiamo un’app per il fitness per poi aprirla una volta sola? O perché scegliamo sempre la stessa opzione in un menù, ignorando le altre? Dietro queste azioni, o non-azioni, non c’è solo la nostra volontà, ma un design che le influenza. Il Behavioral Design è proprio […]

Denis Simeon

Behavioral Design: cos’è, come funziona e modelli pratici

Perché scarichiamo un’app per il fitness per poi aprirla una volta sola? O perché scegliamo sempre la stessa opzione in un menù, ignorando le altre?

Dietro queste azioni, o non-azioni, non c’è solo la nostra volontà, ma un design che le influenza.

Il Behavioral Design è proprio questo: la disciplina che unisce psicologia, scienza dei dati e progettazione per creare esperienze, prodotti e servizi che ci aiutano a fare ciò che vogliamo davvero.

Non si tratta di magia, ma di una profonda comprensione di come funziona la mente umana, un principio cardine della psicologia del design, applicata per guidare le persone verso comportamenti positivi e obiettivi significativi.

Cos’è il behavioral design

Andiamo dritti al punto: il Behavioral Design non si occupa solo dell’aspetto di un prodotto. Il suo vero focus è la progettazione intenzionale di come le persone interagiscono e si comportano.

È l’architettura invisibile che guida le nostre scelte quotidiane.

Che si parli di “behavioral design”, “design behavior” o della sua variante britannica “design behaviour”, il concetto di fondo rimane lo stesso: usare la scienza del comportamento per creare soluzioni più efficaci.

Le sue radici affondano in terreni fertili e diversi. Nasce dalla convergenza di discipline consolidate. Dalla psicologia cognitiva prende in prestito la comprensione dei processi mentali che governano le nostre decisioni.

Dall’economia comportamentale, grazie a pionieri come Daniel Kahneman e Richard Thaler, impara che non siamo esseri perfettamente razionali, ma siamo influenzati da pregiudizi e dal contesto.

Infine, si presenta come una naturale evoluzione della user experience (UX). Se la UX si chiede “L’utente riesce a usare questo prodotto?”, il Behavioral Design fa un passo avanti e si domanda: “Questo prodotto aiuta l’utente a raggiungere il suo obiettivo?”.

I principi scientifici: perché il behavioral design funziona

La sua efficacia non è casuale, ma poggia su solide basi scientifiche. Il nostro cervello, come spiegato da Daniel Kahneman, opera attraverso due modalità di pensiero distinte.

Il Sistema 1 è veloce, istintivo, automatico; è quello che ci fa riconoscere un volto amico o sterzare per evitare un ostacolo.

Il Sistema 2 è invece lento, analitico e richiede sforzo; è il motore che usiamo per risolvere un problema matematico complesso. Il Behavioral Design si rivolge molto spesso al Sistema 1, perché è lì che nascono la maggior parte delle nostre decisioni quotidiane.

Per farlo, sfrutta la nostra tendenza a usare bias cognitivi ed euristiche, vere e proprie scorciatoie mentali che il cervello adotta per risparmiare energia.

Se usate con etica, queste scorciatoie possono diventare potenti leve di progettazione. L’economia comportamentale ci ha mostrato principi chiave come l’avversione alla perdita, la nostra tendenza a preferire di non perdere qualcosa piuttosto che guadagnare la stessa cosa.

O come l’effetto framing, che dimostra come il modo in cui un’informazione viene presentata (la sua “cornice”) possa cambiare radicalmente la nostra percezione e la decisione finale.

I modelli e framework più efficaci

Per passare dalla teoria alla pratica, i professionisti si avvalgono di modelli operativi testati e validati, delle vere e proprie mappe per orientare la progettazione.

Il modello B=MAP di Fogg

Sviluppato da BJ Fogg alla Stanford University, questo modello è di una semplicità disarmante. La sua formula, B = MAP, afferma che un Comportamento (Behavior) si verifica solo quando tre elementi sono presenti contemporaneamente: Motivazione (Motivation), Abilità (Ability) e un Innesco (Prompt).

La motivazione è il desiderio di compiere l’azione. L’abilità è la facilità con cui può essere compiuta. L’innesco è il segnale che ci spinge ad agire. Se anche solo uno di questi elementi manca, il comportamento non avverrà.

Un’app avrà successo non solo se siamo motivati a usarla, ma se è incredibilmente semplice da usare e se una notifica ci ricorda di aprirla al momento giusto.

Il modello Hook di Nir Eyal

Pensato per creare prodotti che sviluppano abitudini, il modello Hook (Gancio) di Nir Eyal descrive un ciclo in quattro fasi che porta gli utenti a tornare spontaneamente.

  • Trigger (Innesco): Il punto di partenza, che può essere esterno (una notifica) o interno (un’emozione come la noia o la solitudine).
  • Azione (Action): Il comportamento più semplice possibile in risposta al trigger, come scorrere un feed o cliccare un’immagine.
  • Ricompensa Variabile (Variable Reward): Il premio che l’utente riceve. La sua imprevedibilità (come nelle slot machine) è ciò che crea il desiderio e spinge a tornare.
  • Investimento (Investment): Il piccolo sforzo che l’utente compie e che “carica” il prossimo trigger, come pubblicare una foto, lasciare un like o personalizzare il profilo.

Questo ciclo, se ripetuto, lega la soluzione a un bisogno interno, trasformando l’uso del prodotto in un’abitudine radicata.

La teoria del nudge e il framework EAST

La Teoria del Nudge, o della “spinta gentile”, resa celebre da Richard Thaler e Cass Sunstein, propone di influenzare le decisioni delle persone senza imporre divieti o limitare la loro libertà di scelta.

Si tratta di progettare l’architettura delle scelte in modo che l’opzione migliore sia anche la più facile da intraprendere.

Per applicare concretamente questo principio, il Behavioural Insights Team del governo britannico ha sviluppato il framework EAST. Per incoraggiare un comportamento, un’azione deve essere:

  • Easy (Facile): Rimuovere ogni attrito e semplificare al massimo il processo.
  • Attractive (Attraente): Catturare l’attenzione e rendere l’opzione desiderabile.
  • Social (Sociale): Sfruttare l’influenza del gruppo e mostrare che altri stanno già adottando quel comportamento.
  • Timely (Tempestiva): Presentare l’invito all’azione nel momento esatto in cui le persone sono più ricettive.

Applicazioni pratiche: dove si usa il Behavioral Design

Questa disciplina non è un esercizio accademico. Le sue applicazioni sono ovunque, spesso così ben integrate da risultare invisibili.

Nel web design e nella user experience (UX/UI)

Le interfacce digitali sono un terreno di prova perfetto.

L’uso della riprova sociale, come mostrare recensioni o il numero di persone che hanno già acquistato un prodotto, ci rassicura sulla bontà della nostra scelta.

Il principio di scarsità (per esempio “solo 2 camere rimaste a questo prezzo”) crea un senso di urgenza che accelera la decisione. Moduli di iscrizione semplificati riducono l’attrito e aumentano le conversioni, mentre una Call-to-Action ben posizionata e visibile guida l’utente in modo naturale verso l’azione che vogliamo compia.

Nel marketing, comunicazione e CRO

Nel marketing e nell’ottimizzazione del tasso di conversione (CRO), il Behavioral Design è fondamentale. Le strategie di pricing a tre opzioni, con una di esse che funge da “esca” per far sembrare più conveniente un’altra, sono un classico esempio.

Il copy persuasivo fa leva sui bias cognitivi per rendere un messaggio più incisivo. E gli A/B test non si limitano a cambiare il colore di un pulsante, ma validano ipotesi comportamentali precise per capire perché una versione funziona meglio dell’altra.

In prodotti, servizi e politiche pubbliche

L’impatto del Behavioral Design va ben oltre lo schermo di un computer. Le app per la salute usano la gamification (punti, badge, classifiche) per motivarci a fare più esercizio fisico.

I governi semplificano le procedure per il pagamento delle tasse o per l’iscrizione a servizi pubblici, aumentando l’adesione.

Le campagne per la raccolta differenziata o per il risparmio energetico usano i nudge per incoraggiare abitudini più sostenibili, dimostrando come piccole modifiche all’ambiente possano generare grandi cambiamenti collettivi.

Il processo di progettazione comportamentale passo dopo passo

Implementare un progetto di Behavioral Design richiede un approccio strutturato. Non si tratta di applicare tattiche a caso, ma di seguire un processo metodico.

Il primo passo è la Ricerca e Diagnosi. Questa fase, che attinge a piene mani dalle metodologie della UX Research, ha l’obiettivo di definire con precisione il comportamento target da incoraggiare o modificare. Successivamente, si analizza il contesto attuale per capire quali sono le barriere psicologiche che impediscono alle persone di agire e quali, invece, sono i driver che potrebbero motivarle.

Segue la fase di Ideazione e Progettazione. Armati delle conoscenze raccolte, si sviluppano interventi e soluzioni basati sui modelli e sui principi scientifici.

È il momento creativo in cui si disegnano i nudge, si semplificano i processi e si creano le giuste ricompense per guidare l’utente.

Infine, arriva la fase di Sperimentazione e Ottimizzazione. Nessuna idea è valida finché non viene testata.

Attraverso prototipi e test controllati, come gli A/B test, si misurano gli effetti reali degli interventi. I dati raccolti permettono di validare le ipotesi, imparare cosa funziona e cosa no, e iterare sul design per renderlo sempre più efficace.

Etica e Responsabilità: il confine da non superare

Un potere così grande nel plasmare le scelte altrui comporta un’enorme responsabilità. Esiste una linea netta, anche se a volte sottile, tra persuasione etica e manipolazione.

Un conto è usare questi principi per aiutare una persona a risparmiare per la pensione o a seguire uno stile di vita più sano, allineandosi ai suoi veri obiettivi.

Tutt’altro è sfruttare le vulnerabilità psicologiche per indurre acquisti compulsivi o creare dipendenze digitali, servendo unicamente gli interessi aziendali.

La chiave sta nella trasparenza e nel dare all’utente il pieno controllo sulle proprie decisioni. Un buon Behavioral Design non inganna e non crea trappole.

Al contrario, rende le scelte migliori più semplici e chiare. Ogni designer, ogni marketer e ogni creatore di prodotti ha il dovere di chiedersi se il proprio lavoro stia arricchendo o impoverendo la vita delle persone.

Progettare comportamenti significa, in ultima analisi, progettare per la natura umana, con tutta la sua meravigliosa e prevedibile irrazionalità.

Farlo con empatia, rispetto e un solido codice etico non è solo la cosa giusta da fare, ma è l’unico modo per creare valore che duri nel tempo.

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Denis Simeon

UX/UI Designer

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